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L’ovvietà del test d’ingresso che “predice” il rendimento universitario

Pochi giorni fa, ilSole24Ore ha riportato una notizia, assai curiosa, su un fantomatico test capace di prevedere il futuro delle matricole. Senza addentrarci in tecnicismi, e volendo anche spiegare il titolo all’inizio del post, ecco il succo: più è alto il punteggio al test d’ingresso, più probabilità ci sono per quello studente di superare i 40 CFU durante il primo anno di università rispetto a chi, invece, consegue un punteggio più basso. Nonostante lo studio di 68 pagine ad avvalorare questa tesi e i dati raccolti, ci chiediamo… era necessario? Ci voleva poi tanto a supporre che “chi ben comincia è già a metà dell’opera”?
Certo, c’è da considerare che lo studio (della CISIA in collaborazione con le Conferenze di Ingegneria e di Economia e Statistica) tende a riportare anche i dati di chi tenta il test e poi finisce per iscriversi ad altri tipi di corsi di studio, e chi abbandona entro il primo anno. Ma per quanto possa essere scientificamente attendibile, ribadiamo, era necessario?

Non è mai facile scegliere il proprio percorsi di studi, lo sappiamo. Troviamo che lo studio sia interessante per un dato all’apparenza marginale: la percentuale degli studenti iscritti a un determinato corso di laurea provenienti dalle varie scuole secondarie di secondo grado. Per quanto riguarda economia, ad esempio, il 43% ha frequentato un liceo scientifico, il 23% un liceo tecnico commerciale e il 13% il liceo classico. Quindi è lampante il binomio liceo scientifico = facoltà di economia. Ma d’altronde il liceo scientifico viene consigliato alla quasi totalità degli studenti che vorrebbero, un giorno, frequentare una qualsiasi università.
Secondo noi, quindi, si sarebbe dovuto puntare l’accento non sul rendimento degli universitari, ma sul perché scelgono un determinato percorso di studi rispetto ad un altro. La scelta, molto spesso, dipende da quale liceo si è frequentato.

Ma come si scelgono i licei?
Principalmente per pressioni familiari e per consigli dei professori durante le scuole medie. Ma un bambino di 13 anni è pienamente consapevole delle proprie passioni e delle proprie capacità? Ecco, secondo noi il problema è a monte. Si dovrebbero ricercare le falle in un sistema che pare troppo semplicistico già nelle sue premesse (vedasi, appunto, lo studio qui riportato) e investire in un orientamento mirato da attuare quanto prima. Far comprendere l’importanza di determinate materie per i futuri studi, ad esempio. E non indirizzarli, semplicemente, verso un liceo generico che spinge, a sua volta, verso un percorso di studi spesso non nelle proprie corde.